Ferruccio Chemello, architetto del suo tempo

DNA srl realizzerà un’importante mostra su Ferruccio Chemello, architetto strettamente legato alla provincia di Vicenza in cui ha operato tra fine ‘800 e inizio ‘900. L’evento, promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Caldogno con il contributo della Regione del Veneto, verrà inaugurato il 18 settembre 2015 presso Villa Caldogno.

A seguire il comunicato stampa e il manifesto della mostra.


Comunicato Stampa

Dal 18 settembre al 18 ottobre Villa Caldogno, a lavori di restauro terminati che la riporteranno al suo storico splendore, accoglierà la mostra “La Grande Guerra. Storia collettiva e memoria intima. Ferruccio Chemello architetto del suo tempo”.

La mostra, promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Caldogno con il contributo della Regione del Veneto, percorre l’opera di Ferruccio Chemello (1862 – 1943) tra i più interessanti e fecondi architetti che hanno operato nella provincia di Vicenza tra la fine dell’800 e gli anni a cavallo del primo conflitto mondiale.
L’Assessore alla Cultura del Comune di Caldogno Luisa Benedini e il consigliere regionale Costantino Toniolo ne illustrano le linee guida e lo spirito che sostiene la valorizzazione di esempi e testimonianze di una storia territoriale ricca di quei valori artistici e produttivi, che hanno contribuito a fare del Veneto una delle regioni a più alto flusso di turismo culturale in Italia.

La mostra occuperà le quattro sale che si affacciano sul Salone di Villa Caldogno e scandirà un percorso che, attraverso gli anni della formazione di Ferruccio Chemello, giungerà a quelli della piena maturità professionale durante i quali egli produce alcune centinaia di manufatti declinati in diverse tipologie, dalle case di villeggiatura ai villini in stile svizzero, dall’architettura industriale a quella civile e religiosa non ultima di certo per dovizia di interventi. La mostra si avvale di un importante corpo documentale derivante dai lasciti alla Biblioteca del Comune di Schio dell’archivio dell’architetto Chemello e da materiali e documenti in possesso degli eredi.

All’iniziativa partecipano la Fondazione 3 Novembre 1918 e la Diocesi di Vicenza, oltre ad altre importanti associazioni della provincia di Vicenza. Curatore scientifico della mostra è Chiara Rebellato La realizzazione è affidata all’agenzia di comunicazione DNA Srl di Vicenza.


Ferruccio Chemello

Ferruccio Chemello nasce a Novi Ligure il 4 ottobre 1862. Il padre Giuseppe Chemello è ingegnere ferroviario con numerosi committenti sul suolo nazionale, da cui i frequenti viaggi e i lunghi soggiorni in diverse regioni dell’Italia di metà ottocento.
La madre di Ferruccio è Giovanna Negrisolo, sorella di Pietro pittore molto noto al tempo, ritrattista, autore di una tela celebrativa delle barricate vicentine nella guerra del 1948, appartenente a sua volta ad una famiglia di pittori veneziani ed autore dei cartoni per la realizzazione delle vetrate di Saint Paul’s Cathedral in Londra ad opera dei veneziani laboratori Salviati.

Nutrendosi dell’influenza di una schiera di intellettuali e artisti (da Fedele Lampertico a Giacomo Zanella, da Paolo Lioy a Pietro Negrisolo ad Antonio Caregaro Negrin ad Ubaldo Oppi) Ferruccio brucia tutte le tappe di una brillante professione, da perito agrimensore ad ingegnere e architetto la cui fama travalica i confini provinciali. Ha solide frequentazioni con la nascente imprenditoria illuminata (Rossi, Conte, Dal Brun), il mecenatismo aristocratico (uno per tutti il bergamasco Conte Sforza della Torre), e non ultimo con il clero vicentino con il vescovo Ferdinando Rodolfi  suo coetaneo, estimatore, committente ed amico.

Nell’architettura civile interpreta le suggestioni del liberty, dell’art nouveau, del secessionismo e dello stile chalet svizzero per le ville, i villini, le case di villeggiatura, i manufatti industriali e persino per le case operaie che implicavano un risanamento urbanistico ed una concezione abitativa modernista.
Nell’architettura religiosa invece compendia in una cifra eclettica personalissima uno stile revivalista di stampo spirituale neoromantico, volto a recuperare il sapore del primitivo, nella realizzazione progettuale e nel restauro di chiese, altari, cappelle tombali e palazzi ecclesiastici dove intesse romanico, neogotico, bizantino e lombardesco, con un gusto armonico che lo impegna nella progettazione sia della fabbrica che dei decori e degli arredi interni.

Opera emblematica, al centro della mostra che vuol dare un punto di vista di contesto sulla Grande Guerra, il Sacello Ossario del Pasubio commissionatogli dalla Curia di Vicenza guidata dal Vescovo Rodolfi ed inaugurato nel 1926, che egli realizza in memoria del figlio Guido, tenente degli Alpini caduto sull’Ortigara nel 1917. Progettato e costruito secondo i canoni di un eclettismo formale dai forti accenti liberty l’Ossario, mausoleo, torre, fortezza, castello medievale, chiesa, cimitero, vide intorno all’architetto l’apporto di importanti firme dell’epoca (Chini, Bellotto, Zanetti) in un comune sentire che si tradusse nella realizzazione di un liberty guerriero che non trova eguali nella storia dei monumenti celebrativi ai caduti.

E proprio questa fu la cifra dell’architetto, la capacità di saldare una solida e proteiforme preparazione tecnica ad un’inclinazione artistica e ad un intenso vissuto personale. Tutto ciò valse ad orientarlo verso una produzione eclettica che da una parte guardava al liberty come garbata sovversione dei canoni ottocenteschi, dall’altra accoglieva le istanze di soluzioni statiche più complesse e ardite come fu nel Teatro di Schio, opera in cemento armato di grandiose dimensioni che unisce ai fasti decorativi e pittorici moderne soluzioni sul piano strutturale, funzionale ed economico.

Molto del suo costruire è andato perduto, soprattutto in seguito ai bombardamenti della seconda Guerra Mondiale, ma ciò che rimane, pur nell’evoluzione stilistica dovuta al tempo e alla storia, fa parte comunque di quella memoria visiva che costituisce la trama del nostro immaginario.


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